Irresponsabilita’, Indipendenza o Potere del magistrato?

Gio Giu, 2018

Argomento  n.1

Una domanda inoltrata al tribunale. Un fatto. Prove che lo attestano o lo negano (normalmente testimoniali o documentali) . Ciascun difensore invoca le norme della fattispecie astratta da applicare al caso concreto nonché le norme processuali. Quindi un diritto non solo deve esistere, ma va anche saputo azionare in un giudizio. Di qui il bravo avvocato, di qui la sua professionalità. Ben più essenziale, la terzietà del giudice. Terzietà significa, semplicemente, essere terzo tra i contendenti . Al di sopra di ogni parte, senza partigianeria. Indipendente significa che deve rigettare
pressioni politiche oppure raccomandazioni per privilegiare una parte. Da chiunque  provengano . Il magistrato deve agire e pronunciare soltanto secondo diritto: art. 12 preleggi; artt. 50,51, 112,113 codice di procedura civile. Sembrerebbe tutto facile. Non è così.
I gradi di giudizio in Italia sono tre: Tribunale, Appello, Cassazione, e poi (di fatto il quarto) revisione/revocazione e che  costituiscono il grande pozzo della giurisprudenza cui attingere.
Il cittadino è, dunque, al riparo?

Argomento n.2

Il Magistrato è pur sempre un essere umano con le sue forze, ma anche con le sue debolezze, che vive nella società, e, quindi, con relazioni amicali, sentimentali, parentali, politiche, con aspettativa di carriera e di un futuro lavorativo dopo la pensione; tutte cose che costituiscono tentazioni
possibili perché umane. Queste tentazioni, spesso, sono irresistibili e travestite per come si presentano nella vita del Magistrato, il quale, quindi, può esserne vittima inconsapevole.
E così, per avere una visione di insieme, partendo, appunto, dall’art. 12 (interpretazione) delle preleggi, che alcune sentenze di merito di legittimità e di costituzionalità hanno ritenuto trattarsi solo di disposizione ordinatoria non perentoria, quindi non vincolante, e su questo punto si richiama l’attenzione, giungiamo al comma 2 dell’art. 2 della legge 23.2.06 n.109 governo Berlusconi quale modificato, poi, dal governo Prodi con L. 24.10.2006 n.269. Con queste leggi viene regolamentata la responsabilità disciplinare dei magistrati quando sono nell’esercizio delle loro funzioni e quando non lo sono. Quindi, anche nella vita privata. Una severità apparente. Di fatto difficilissima a realizzarsi.  Trascrivo il comma 2 “Fermo quanto previsto, …omissis…, l’attività di interpretazione
di norme di diritto e quella di valutazione del fatto e delle prove non danno luogo a responsabilità disciplinare.

Argomento n.3

Secondo l’art. 1 Il Magistrato deve essere, nell’esercizio delle sue funzioni, imparziale, corretto, laborioso, equilibrato, riservato, e deve rispettare la dignità della persona . Se tanto non fa, non vi è alcuna sanzione. Però, se produce danno o vantaggio ad una delle parti in giudizio cioè favorisce una parte,di fatto facendole vincere la causa, incorre nella sanzione: minima  la censura.
E l’art. 2/1B)  Il Magistrato non può svolgere la sua attività in un tribunale /Corte di Appello in cui opera , come legale, un suo parente: figlio, nipote diretto o ex coniuge, convivente etc… oppure in cui un suo parente lavora come magistrato o appartenente alle forze dell’ordine. Epperò tali incompatibilità sono, di fatto, difficilissime da inquadrare. Le maglie sono state allargate da numerose deroghe che vanificano il divieto enunciato. Sanzione: la censura (è soltanto una nota di biasimo).
E l’art. 2/1C) Laddove il Magistrato non si astiene nel caso che una delle parti in causa sia un suo parente,  sanzione: minimo la censura.
E l’art. 2/1D) Laddove il Magistrato sia abitualmente oppure gravemente scorretto verso le parti, difensori, testimoni, collaboratori, altri magistrati sanzione: minimo la censura.
E l’art. 2/1E) Laddove un Magistrato raccomandi all’altro magistrato incaricato una parte in causa   al fine di farle vincere la causa – è da presumersi – e quindi privilegiarla con un miglior trattamento in sede processuale, sanzione: la censura fino alla sanzione dell’incapacità a ricoprire incarichi direttivi o semidirettivi se colui che interferisce è presidente della sezione o dirigente. Tanto (si richiama l’attenzione) solo se l’interferenza è grave o ripetuta.
E l’art. 2/1F) Laddove il Magistrato che ha ricevuto la raccomandazione non la denunci al capo dell’ufficio, sanzione: minimo la censura.
E l’art. 2/1G e M)  laddove il Magistrato violi una legge o una norma, per sua ignoranza o negligenza inescusabile, oppure travisi il fatto (cioè non ne comprende i termini), sanzione:   censura.  Però la negligenza semplice non è punita. Il grado di  negligenza non è tipizzato.
E l’art. 2 /1L) Laddove il Magistrato emetta un provvedimento privo di motivazione effettiva, sanzione:  nessuna.
E l’art. 2/1M) Laddove il Magistrato emetta un provvedimento, non consentito da alcuna legge/norma nella fattispecie trattata, sanzione minima la censura purché (attenzione!) vi sia stata a) negligenza grave ed inescusabile – (la negligenza semplice non è punibile) b) che vi è stata, conseguentemente, lesione di diritti personali o di diritti patrimoniali che, però, devono essere rilevanti (non viene indicato il parametro della rilevanza).
E l’art. 2/1P) Laddove il Magistrato compia, con ritardo ingiustificato, il compimento di atti, e che non si ecceda il triplo dei termini previsti dalla legge, non è grave (non vi sono parametri) e quindi alcuna sanzione. Eccedendo il triplo, sanzione non inferiore alla censura.
E l’art. 2/ UV) Laddove il Magistrato, anche per negligenza (semplice o grave?) divulghi atti istruttori riservati, o non mantenga un comportamento – riservato (dove inizia o termina la riservatezza?) – tanto, costituisce illecito  disciplinare, ma solo quando il fatto commesso è idoneo (non vi sono parametri) a ledere indebitamente i diritti altrui, sanzione: minimo la censura.
E l’art. 2/1aa) Laddove il Magistrato solleciti i mass media a parlare della sua attività professionale o costituisca taluni canali informativi privilegiati, sanzione: nessuna.
E l’art. 2/1cc) Laddove il Magistrato emetta intenzionalmente provvedimenti equivoci e contraddittori tra motivazione e dispositivo (cioè la decisione ), sanzione: nessuna.
E l’art. 2/1dd)  Laddove il dirigente /presidente non comunichi agli organi competenti il fatto a lui noto commesso dal Magistrato che può costituire illecito disciplinare, sanzione: nessuna.
E l’art. 2/1ee) Laddove il Magistrato dirigente non comunichi agli organi competenti le situazioni di incompatibilità  – (art. 18 e 19) – in cui versi il magistrato ovvero nel caso di debolezza di mente o sopravvenuta infermità o grave inattitudine, sanzione: nessuna.
E l’art. 2/1gg) Laddove un magistrato emetta un provvedimento restrittivo della libertà personale fuori dai casi consentiti, sanzione: nessuna.
Qualora (attenzione!) sia  conseguenza di negligenza grave (senza parametri) ed inescusabile (attenzione, due condizioni: gravità e inescusabilità!) sanzione: censura.
E l’art. 2/2) L’attività di interpretazione di norme di diritto e valutazione del fatto e delle prove (attenzione!) non dà luogo a responsabilità disciplinare.
In relazione,poi, agli illeciti disciplinari commessi nella vita privata.
Secondo l’art. 3/1A) Allorquando il Magistrato abusa del fatto di essere magistrato onde conseguire vantaggi ingiusti per sé o per altri, sanzione: censura . Nei casi più gravi (senza parametri) la sanzione può essere la perdita dell’anzianità però da 3 mesi fino a 2 anni.
E l’art. 3/1B) Allorquando il Magistrato frequenta privatamente una persona sottoposta al suo operato o persona che gli consta essere delinquente abituale, professionale o per tendenza, o, addirittura,  sia con questi in rapporto d’affari, sanzione: Perdita anzianità da 3 mesi a due anni.
E l’art. 3/1C) Allorquando il Magistrato assuma incarichi extragiudiziari senza l’autorizzazione del CSM, sanzione: Se non grave (attenzione!), censura, se particolarmente grave, sospensione dalle funzioni – da 3 mesi a due anni
E l’art. 3/1D) Allorquando il Magistrato svolga privatamente attività incompatibili con la funzione di magistrato ad esempio attività imprenditoriale, professionale, amministratore di  società etc… oppure attività che, in concreto, (attenzione!)  rendono difficile lo svolgimento della sua attività di Magistrato, (attenzione!) sanzione: nessuna
E l’art. 3/1E) Allorquando il Magistrato ottiene, anche in via indiretta, prestiti di danaro, agevolazioni da persone sottoposte a giudizio penale o civile innanzi a magistrati dell’ufficio giudiziario ove egli lavora o nel distretto della Corte di Appello ove esercita, oppure ottiene, dai
difensori, le suddette agevolazioni o prestiti a condizioni di eccezionale favore ad esempio un mutuo con tassi di interessi minimi fuori mercato o con dilazioni di pagamento senza interessi etc… o anche lo ottiene da parti offese (vittime) o testimoni, o da altri coinvolti nelle procedure,
sanzione: rimozione.
E l’art. 3/1F) Allorquando il Magistrato manifesta pubblicamente dissenso o consenso in ordine a cause pendenti, in modo idoneo a condizionarne la decisione, sanzione: nessuna
E l’art .3/1G) Allorquando il Magistrato sia iscritto (attenzione!) ad associazione segreta . Sanzione: nessuna.
E l’art. 3/1H) Allorquando il Magistrato sia iscritto a partito politico oppure vi partecipi (attenzione) sistematicamente e continuamente oppure (attenzione!) partecipi alle attività di soggetti imprenditori o finanzieri e tale partecipazione può condizionare (senza parametri) l’esercizio delle sue funzioni di magistrato o comprometterne l’immagine, sanzione: nessuna.
E l’art. 3/1I) Allorquando il Magistrato utilizzando (attenzione!) tale sua qualità, attuando modalità idonee, condizioni l’esercizio di funzioni previste dalla costituzione, sanzione: nessuna.
E l’art. 3 bis) Epperò, allorquando il Magistrato compia un fatto illecito, se questo fatto è di scarsa rilevanza (attenzione, attenzione!!), non viene considerato illecito per cui nessuna sanzione.

Argomento n.4

In relazione alle sanzioni da applicare, da parte del CSM, per gli illeciti disciplinari nell’esercizio delle funzioni e per quelli commessi nella vita privata, si deve dedurre che solo per alcuni illeciti, così come tipizzati dalla legge (Berlusconi  23.2.06 n.109 e 24.10.2006 n.269 (Prodi) trovano
una sanzione . Altri no!
Benvero, ampia discrezionalità , evidentemente a tutela dell’autonomia e dell’indipendenza, viene data al C.S.M.(quest’organo è espresso, lo si ricorda, dalle correnti/associazioni, variamente politicizzate).
Le sanzioni sono, in ordine crescente, A) L’ammonimento: semplice richiamo al rispetto delle regole; B) la censura: nota di biasimo; C) la perdita dell’anzianità ai limitati fini economici e di carriera è prevista solo da tre mesi a due anni (vedi art. 12 e 5 diversità); D) l’incapacità temporanea ad assumere incarico direttivo o semidirettivo allorquando, quale dirigente d’ufficio o Presidente della Sezione,  interferisce (la famosa raccomandazione) nell’attività di altro Magistrato; E) sospensione dalla funzione da 3 mesi a due anni allorquando il Magistrato accetti e svolga incarichi vietati dalla legge ovvero non abbia inoltrato richiesta e ottenuto l’autorizzazione, sempre (attenzione)  ricorrendone la gravità (senza parametri); F) rimozione.
In ipotesi di condanna per più illeciti insieme si applica la sanzione meno grave se compatibile.
La rimozione, cioè il licenziamento, è dunque previsto, ma sussiste valutazione molto discrezionale sulla gravità e, solo e soltanto per i fatti previsti dall’art. 3 comma 1 lettera e, e cioè quando attiene a prestiti di danaro e agevolazioni di eccezionale favore direttamente o indirettamente dalle parti, nei processi civili e penali che si svolgono nell’ufficio giudiziario cui appartiene o che comunque si trovino nel distretto della Sua Corte di Appello (e così, implicitamente ed esplicitamente, si prevede la raccomandazione. Un giudice raccomanda. Altro Giudice  accetta).
Riepilogando:
1)      Vi è una elencazione (sul sito www.cameradigiustizia.com) di fatti qualificati illeciti disciplinari nell’esercizio delle funzioni (art. 2) ma non quando il fatto è di scarsa rilevanza;
2)      Vi è una elencazione di fatti qualificati illeciti disciplinari nella vita privata (art. 3) con la premessa che non è illecito laddove il fatto stesso sia di scarsa rilevanza.
3)      Vi è una elencazione di fatti qualificati illeciti disciplinari conseguenti a reato accertato (art. 4.)
4)      Vi è  una elencazione esplicativa (art. 5) delle sanzioni.
5)      Per alcuni fatti illeciti commessi nella vita privata, pur essendo elencati e quindi tipizzati, non vengono previste sanzioni (art. 12).
6)      Nell’elencazione (sempre nell’art. 12) delle sanzioni soltanto alcune di queste sono correlate a quei fatti quali elencati e commessi nell’esercizio e privatamente. Benvero, per alcuni fatti, in ambedue le ipotesi, in servizio e privatamente, non sono previste sanzioni. Inoltre alcune sanzioni  prevedono ipotesi di illeciti non tipizzati.
La confusione che ne deriva dilata conseguentemente la discrezionalità già ampia concessa, (per la valutazione della gravità e delle prescrizioni) al CSM sia nell’incolpazione sia nella decisione. Ma anche nell’accusa, da chiunque esercitata /promossa.
In relazione alla macchinosa procedura da svolgere laddove si voglia sanzionare un magistrato per i suoi comportamenti è previsto che:
1)      l’azione disciplinare è promossa dal Ministro della Giustizia e dal procuratore generale presso la Corte di Cassazione entro un anno dalla notizia la quale può provenire solo dal CSM, dai consigli Giudiziari, dai dirigenti dagli uffici, dai Presidenti di Sezione, dai Presidenti di Collegio nonché dai procuratori aggiunti;
2)      la denuncia (attenzione, attenzione, attenzione!!! Denuncia, non esposto!) deve essere circostanziata cioè deve contenere tutti gli elementi costitutivi di una fattispecie disciplinare nell’esercizio e privatamente (si richiama la variopinta adattabile, flessibile, articolazione);
3)      in ogni caso non può essere promossa decorsi dieci anni dal compimento del fatto;
4)      l’inizio dell’azione deve essere subito comunicata  al Magistrato incolpato come pure ogni ulteriore contestazione, altrimenti ogni atto è nullo. Il Procuratore generale deve depositare le sue richieste entro due anni dall’avvio ed il CSM entro due anni deve pronunciarsi;
5)      la sentenza della Sezione disciplinare del CSM è ricorribile in Cassazione ed in caso di suo annullamento, entro un anno ci deve essere la pronuncia del giudizio di rinvio. Attenzione – Attenzione, l’inosservanza di detti termini estingue il procedimento;
6)      il P.M, cioè il procuratore generale, è colui che, ricevuta la notizia, indaga e procede all’archiviazione nelle seguenti ipotesi  a) se il fatto non è rilevante (art. 3bis); b) se la denuncia non è circostanziata; c) se il fatto non rientra nelle ipotesi di cui alle lettere 2, 3 e 4;
7)      il PM, laddove ritenesse di non archiviare, formula al CSM le sue richieste e chiede fissarsi la discussione. Di tutto viene informato l’incolpato;
8)      l’udienza dibattimentale della sezione disciplinare del CSM è Pubblica però (attenzione, attenzione!), per la credibilità della funzione giudiziaria e dei diritti dei terzi, può disporsi che si proceda a porte chiuse e, quindi, sentito il magistrato incolpato, delibera in camera di consiglio e provvede con : 8a) sentenza di condanna con relativa sanzione; oppure  8b) rigetta la richiesta del P.G.;
9)      sia il Magistrato incolpato, sia il Ministro della Giustizia sia il procuratore generale possono impugnare, innanzi alla Corte di Cassazione, i provvedimenti cautelari o la sentenza della sezione disciplinare. La Corte a sezioni unite entro sei mesi decide;
10)  l’incolpato, però, può sempre, poi, (attenzione!)  ricorrere al TAR in prima istanza ed in appello al Consiglio di Stato;
11)  il Magistrato condannato poi, in ogni tempo, può chiedere la revisione delle sentenze irrevocabili. Tanto anche dai suoi congiunti laddove deceduto.

Argomento n. 5

Sulle garanzie (guarentigie) del Magistrato quale rimaneggiata prima dal governo Berlusconi e poi dal governo Prodi., dall’art. 1 si apprende che il Magistrato non può essere privato dello stipendio, della funzione, collocato in aspettativa, in disponibilità, a riposo, destinato ad altra sede o ad altra funzione se non in base ad un deliberato del CSM, che applica l’ordinamento giudiziario . Sempre secondo la legge sulle guarentigie (garanzie a tutela per il Magistrato), l’art. 2 dispone che il magistrato, giudice o sostituto procuratore della Repubblica, può essere destinato ad altra sede o ad altra funzione solo e soltanto con il suo consenso a meno che, per qualsiasi causa, indipendentemente dalla colpa, non possa svolgere le sue funzioni con piena indipendenza e imparzialità.
Dall’art. 3 si apprende che se, per qualsiasi infermità permanente o per sopravvenuta inettitudine, il Magistrato non lavori convenientemente ed efficacemente, è dispensato dal servizio (dal Ministro della Giustizia) previo parere del CSM. Però (ecco la deroga) se tali due (congiunte) condizioni, (attenzione, attenzione!!) sopravvenute consentano al Magistrato un attività amministrativa, su sua domanda, può trovare collocazione lavorativa presso il Ministero della Giustizia con decreto del Ministro di Giustizia  secondo modalità e criteri di comparazione definiti con il Ministro della funzione pubblica ed il Ministro dell’economia delle finanze (dunque 3 ministeri) tenuto conto della gravità  dell’infermità oppure della sopravvenuta inattitudine (qui, condizioni alternative).
Avuto il decreto, il Magistrato infermo oppure inetto, ha la stessa complessiva retribuzione (stipendio + altri assegni/benefici) oppure addirittura superiore.

Argomento n.6

1)      Il Consiglio giudiziario cui appartiene il Magistrato, (si copre l’intero territorio nazionale)  ha le seguenti competenze: a) parere consultivo sulle tabelle degli uffici giudicanti, criteri per l’assegnazione degli affari; b) (attenzione) emette pareri per la valutazione professionale.
2)      Emette parere consultivo su richiesta del CSM, su collocamenti a riposo, dimissioni, decadenze dall’impiego, concessioni di titoli onorifici, riammissioni in servizio, di magistrati già in servizio destinati ad altri uffici e/o incarichi.
3)      Emette parere consultivo, sempre su richiesta del CSM, su materie attinenti la propria competenza.
4)      Può formulare proposte di programmazione didattica alla scuola superiore della Magistratura.
5)      Del Consiglio Giudiziario fanno parte – (attenzione- attenzione) in numero ridottissimo anche laici : avvocati e docenti universitari e chi designato dal locale Consiglio Regionale, i quali, però, non possono partecipare alle valutazioni di professionalità, congedi, riammissione, collocamenti a riposo; dimissioni; concessioni di titoli onorifici; sulle materie attinenti le competenze proprie; sulle proposte di programmazione didattica. Insomma da queste rilevanti competenze sono esclusi.

Argomento n.7

L’art. 13 del R.D. 30.1.1941 n.12 dell’ordinamento giudiziario in virtù del quale i magistrati sono esenti da qualunque ufficio o servizio pubblico estraneo alle loro funzioni.
Possono però, essere eletti senatori, deputati, o amministratori gratuiti di istituzioni pubbliche di beneficenza.

Argomento n.8

L’art. 18 dell’ordinamento giudiziario stabilisce che i magistrati giudicanti e requirenti non possono lavorare nei Tribunali e Corti di appello ove  vi siano  loro parenti fino al secondo grado, affini in primo grado, coniuge e convivente, che esercitino la professione di Avvocato (ma non altre professioni) . Tanto affermato elenca, poi, però una lunghissima serie di deroghe. L’art. 19  riguarda l’incompatibilità di sede per rapporti di parentela o affinità con Magistrati, ufficiali o agenti di polizia giudiziaria che ivi lavorano.
Si riporta l’art. 18: ” Incompatibilità di sede per rapporti di parentela o affinità con esercenti la professione forense.
I magistrati giudicanti e requirenti delle corti di appello e dei tribunali non possono appartenere ad uffici giudiziari nelle sedi nelle quali i loro parenti fino al secondo grado, gli affini in primo grado, il coniuge o il convivente, esercitano la professione di avvocato.
La ricorrenza in concreto dell’incompatibilità di sede è verificata sulla base dei seguenti criteri:
a) rilevanza della professione forense svolta dai soggetti di cui al primo comma avanti all’ufficio di appartenenza del magistrato, tenuto, altresì, conto dello svolgimento continuativo di una porzione minore della professione forense e di eventuali forme di esercizio non individuale dell’attività
da parte dei medesimi soggetti;
b) dimensione del predetto ufficio, con particolare riferimento alla organizzazione tabellare;
c) materia trattata sia dal magistrato che dal professionista, avendo rilievo la distinzione dei settori del diritto civile, del diritto penale e del diritto del lavoro e della previdenza, ed ancora, all’interno dei predetti e specie del settore del diritto civile, dei settori di ulteriore specializzazione come risulta, per il magistrato, dalla organizzazione tabellare;
d) Ricorre sempre una situazione di incompatibilità con riguardo ai Tribunali ordinari organizzati in un’unica sezione o alle Procure della Repubblica istituite presso Tribunali strutturati con un’unica sezione, salvo che il magistrato operi esclusivamente in sezione distaccata ed il parente o l’affine non svolga presso tale sezione alcuna attività o viceversa.
I magistrati preposti alla direzione di uffici giudicanti e requirenti sono sempre in situazione di incompatibilità di sede ove un parente o affine eserciti la professione forense presso l’ufficio dagli stessi diretto, salvo valutazione caso per caso per i Tribunali ordinari organizzati con una pluralità di sezioni per ciascun settore di attività civile e penale.
Il rapporto di parentela o affinità con un praticante avvocato ammesso all’esercizio della professione forense, è valutato ai fini dell’articolo 2, comma 2, del R.D. Lgs 31 maggio 1946 n.511, e successive modificazioni, tenuto conto dei criteri di cui al II comma.”.
Si riporta l’art. 19: “Incompatibilità di sede per rapporti di parentela o affinità con magistrati o ufficiali o agenti di polizia giudiziaria della stessa sede.
I magistrati che hanno tra loro vincoli di parentela o di affinità sino al secondo grado, di coniugio o di convivenza, non possono far parte della stessa corte o dello stesso Tribunale o dello stesso ufficio giudiziario.
La ricorrenza in concreto dell’incompatibilità di sede è verificata sulla base dei criteri di cui all’articolo 18, secondo comma, per quanto compatibili. I magistrati che hanno tra loro vincoli di parentela o di affinità sino al terzo grado, di coniugio o di convivenza, non possono mai fare parte dello stesso Tribunale o della stessa Corte organizzati in un’unica sezione ovvero di un Tribunale o di una corte organizzati in un’unica sezione e delle rispettive Procure della Repubblica, salvo che uno dei due magistrati operi esclusivamente in sezione distaccata e l’altro in sede centrale.
I magistrati che hanno tra loro vincoli di parentela o di affinità fino al quarto grado incluso, ovvero di coniugio o di convivenza, non possono mai far parte dello stesso collegio giudicante nelle corti e nei tribunali.
I magistrati preposti alla direzione di uffici giudicanti o requirenti della stessa sede sono sempre in situazione di incompatibilità , salvo valutazione caso per caso per i Tribunali o le Corti organizzati con una pluralità di sezioni per ciascun settore di attività civile e penale.
Sussiste, altresì, situazione di incompatibilità , da valutare sulla base dei criteri di cui all’articolo 18, secondo comma, in quanto compatibili, se il magistrato dirigente dell’ufficio è in rapporto di parentela o affinità entro il terzo grado, o di coniugio o convivenza, con magistrato addetto al  medesimo ufficio, tra il presidente del Tribunale del capoluogo di distretto ed i giudici addetti al locale Tribunale per i minorenni, tra il Presidente della Corte di appello o il Procuratore generale presso la Corte medesima ed un magistrato addetto rispettivamente, ad un Tribunale o ad una Procura della Repubblica del distretto, ivi compresa la Procura presso il Tribunale per i minorenni. I magistrati non possono appartenere ad uno stesso ufficio giudiziario ove i loro parenti fino la secondo grado, o gli affini in primo grado, svolgono attività di ufficiale o agente di polizia giudiziaria. La ricorrente in concreto dell’incompatibilità è verificata sulla base dei criteri di cui all’articolo 18, secondo comma, per quanto compatibili.

Argomento n.9

L’art. 90 dell’Ordinamento Giudiziario dispone che i Magistrati hanno un periodo annuale di ferie di
45 giorni.

Argomento n.10

L’art. 196 dell’ordinamento giudiziario dispone che i Magistrati possono essere distaccati con funzioni amministrative presso il Ministero della Giustizia.

Argomento n.11

Il capolavoro di ingegneria giuridica e cioè la legge n.117 del 13.4.88 venne varata a seguito del referendum popolare che volle la responsabilità civile dei magistrati ed il risarcimento dei danni da essi cagionati nell’esercizio delle loro funzioni. Tale legge fu poi integrata, dopo un anno, dalla legge n.420 del 2/12/1988 che intervenne sul piano processuale .
L’art. 2 della n.117 chiarisce  subito che: a) deve trattarsi di un danno ingiusto b) che è conseguente a comportamento o atto o provvedimento giudiziario di un Magistrato, (si badi bene), svolto con dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni, oppure per diniego di giustizia .Però, si badi sempre, l’avente  diritto cioè chi ha subito, può agire solo e soltanto nei confronti dello stato. Mai direttamente nei confronti del Magistrato.
Si badi ancora sempre che in questa norma si rinviene l’esimente (interpretazione della legge all’art. 12 delle preleggi e nell’art. 2 comma 2, della legge 23.2.2006 n.109 e 24.10.2006 n. 269 che regolano la responsabilità disciplinare dei magistrati nell’esercizio delle funzioni) che non dà luogo a responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove.
L’azione è promossa soltanto contro lo Stato e dopo aver esperito tutte le impugnative endoprocessuali possibili e nel rispetto di presupposti, condizioni, ammissibilità e di numerosi termini perentori di decadenza e prescrizioni. E tanto solo per giungere ad un primo giudizio sull’ammissibilità.
Insomma un iter da percorrere così irto, da somigliare alla scalata di una montagna. Alta.
La nota rilucente è che il Magistrato non può essere personalmente  citato ma egli, se lo ritiene, può intervenire nel procedimento e inoltre la decisione (attenzione, attenzione!)  non fa stato nell’eventuale procedimento disciplinare e quindi nuova istruttoria e così pure nell’eventualissimo
giudizio di rivalsa dello stato, rivalsa che, comunque, non può superare una somma pari al terzo di una annualità dello stipendio al netto delle trattenute fiscali  (anche se si tratta di danno a più persone sempre un terzo per tutte). Questo terzo, poi, viene riscosso dallo Stato mediante prelievi mensili non superiori al quinto dello stipendio.

Argomento n.12

L’art. 2 della legge 13 agosto 1984 n.476 consente al Magistrato congedo straordinario per corsi di dottorato di ricerca per la durata di questo, e, rinunciando egli al danaro della borsa, continua a godere del trattamento economico, previdenziale e di quiescenza.  Il periodo di congedo pur
tuttavia è utile ai fini della progressione di carriera, del trattamento di quiescenza e di previdenza.

Argomento n.13

L’art. 53 del Dlgs. N.165 del 30.3.2001 e Dlgs n.35 del 2/2/06 dispone sugli incarichi extragiudiziari che il Magistrato può accettare solo previa autorizzazione del CSM e sempre che gli incarichi provengano da Università o pubbliche amministrazioni.

Argomento n.14

In virtù dell’art. 61 del codice di procedura civile il Giudice può, nel corso del giudizio,farsi assistere da uno o più consulenti tecnici  reperiti in un apposito albo tenuto dal Presidente del Tribunale. Può – altresì – incaricare, se sorge necessità, esperti laddove non sia in grado di
procedere da solo, così come può nominare, occorrendo, custodi, amministrativi, liquidatori, notai ed avvocati per le operazioni di vendite coattive, curatori, tutori, designazione dell’arbitro terzo, etc…
Il Presidente del tribunale vigila (attenzione-attenzione!!!)  sulla equa distribuzione degli incarichi (art. 22 e 23 R.D. 18.12.1941 n.1368 e successive modifiche   Disp. Att. proc. civ.).
Epperò (ecco qua) secondo la costante conforme giurisprudenza della Suprema Corte, da ultima la sentenza n. 5473 del 12.4.01, le citate norme di scelta del consulente tecnico hanno natura e finalità direttive e quindi la scelta dell’ausiliario è riservata all’apprezzamento discrezionale del Giudice e non è sindacabile in sede di legittimità.
Conseguentemente i giudici ed i PM danno l’incarico a  chi vogliono senza alcun controllo.
Orbene gli incarichi che annualmente, in tutta Italia, vengono conferiti, secondo le statistiche  dei giudizi ricavate dal Ministero della Giustizia, assommano a circa un milione. Effettuando la media degli importi dei compensi, in difetto, Euro tremila per ciascun incarico, si arriva a tre miliardi di Euro all’anno. Una buona parte della finanziaria annuale italiana.
L’altra considerazione è che ogni anno milioni di professionisti, avvicendandosi, così  lavorano e conseguentemente i Giudici, i Procuratori della Repubblica etc… sono una formidabile fonte di lavoro.